FOSSILI E TERRITORI
I nuovi pezzi del Museo Paleontologico di Asti e i luoghi in cui sono stati trovati

Le rocce sedimentarie di Passerano Marmorito
Affioramento di diatomiti in strada Casassa
Le "Areniti di Passerano" (in basso)

Guardare e non toccare: ma questa volta la regola non vale.

Non siamo al Museo Paleontologico dove ogni reperto è protetto da teche di vetro o dove i cartelli dettano regole di comportamento per non compromettere l’integrità degli esemplari fossili.

Qui siamo a Passerano Marmorito, in quelli che gli esperti chiamano geositi, luoghi dall’eccezionale rilevanza scientifica dove si può studiare da vicino la storia geologica del territorio, passare la mano sulle rocce che si sono formate dalla deposizione dei sedimenti marini, osservare quello che la paleontologia ci ha lasciato e fare scoperte sorprendenti.

La più importante: gran parte di quello che vedrò è avvenuto molto tempo prima che apparissero le balene, questa volta il viaggio nel tempo non si ferma a 3 milioni di anni fa, tra scheletri di capodogli e resti fossili di delfini, ma si spinge molto più indietro.

Per comprendere di cosa stiamo parlando ripasso la descrizione geologica contenuta nella “Dichiarazione di notevole interesse pubblico del paesaggio di Schierano, Primeglio e Marmorito” presentata nel 2013 dal Comune alla Regione Piemonte: “La peculiarità del territorio di Passerano Marmorito è rappresentata dagli affioramenti di reperti coralliferi, selce pura, diatomiti tra strati di marne e areniti, a testimonianza di climi e ambienti, molto diversi tra loro che si sono susseguiti in milioni di anni”.

Le rocce sedimentarie marine, dicono le carte, si sono depositate, nel territorio tra la Collina di Torino e il Monferrato, in un arco di tempo che oscilla tra i 45 milioni e i 3 milioni circa di anni fa. Le stratificazioni hanno dunque moltissimo da raccontare: una prima successione, “costituita da depositi fangosi fini (peliti e marne) richiama a un bacino marino molto profondo”; poi si osserva quella caratterizzata da “rocce (arenarie, conglomerati) tipiche di una deposizione avvenuta in ambiente marino poco profondo di materiale grossolano proveniente dalle Alpi, in via di emersione ed erosione”. Un altro strato comprende le diatomiti, un tipo di roccia molto particolare, friabile e porosa, che “testimonia un fondale marino profondo e freddo”.

Nell’ossatura geologica di Passerano Marmorito troviamo anche i gessi, “materiali originati da un’intensa evaporazione dell’acqua marina in spazi poco profondi e in condizioni climatiche aride e calde in cui i sali si sono saturati in forma solida”. E un tipo di roccia di accentuata durezza (calcari a Lucina) che si è formata, decine di milioni di anni fa, per la fuoriuscita di metano dal fondale marino: ancora oggi racchiude resti fossili di bivalvi di grosse dimensioni.

Fossili importanti per chi li capisce
"Calcari a Lucina" trovati in Borgata Merlina
I bivalvi imprigionati nella roccia

Due di questi reperti di mollusco (oggi ci verrebbero in mente ostriche, vongole, mitili) sono custoditi al Museo Paleontologico di Asti e provengono dal geosito di Primeglio, frazione di Passerano.

“Sono fossili non belli, ma importanti per chi li capisce” osserva il paleontologo Piero Damarco. Cerco di osservare anch’io: in effetti non sono le conchiglie bianche dalle forme sinuose del Pliocene. A prima vista assomigliano piuttosto a sassi rinchiusi in un’armatura di roccia originata da violenti sommovimenti in fondo al mare, dai 23 ai 20 milioni di anni fa circa. “D’altra parte – dice Damarco – dobbiamo pensare a una zona fortemente sotto stress dove si consumò l’incontro/scontro tra l’Appennino e le Alpi”.

Dunque su che cosa poggiano i nostri piedi? La zona di Passerano Marmorito, segnalano gli esperti, “è suddivisibile in due settori, la Collina di Torino a ovest ed il Monferrato a est. Nella prima le rocce, a una profondità di 2,3 km, sono assimilate alle Alpi occidentali e alla Collina di Torino, mentre l’Appennino riposa su un substrato di rocce più antiche, mesozoiche, che affiorano nei pressi del cimitero di Marmorito. I due settori sono delimitati dalla Zona di deformazione di Rio Freddo, confine geologico tra la pertinenza alpina e quella appenninica, frontiera che si estende da Casalborgone a Passerano Marmorito. E’ il limite tra la placca europea e quella africana“.

Straordinario pensare che le rocce che si crearono, imprigionando i bivalvi, non hanno subito processi naturali di trasporto, ma si trovano nell’esatto luogo in cui si formarono: in quello che oggi chiamiamo geosito di Borgata Merlina, un terreno boscato (dove un tempo c’erano le vigne) immerso nella quiete di Primeglio.

Magia dei gusci delle alghe unicellulari
Scorcio del geosito di strada Casassa
Pezzi leggeri e friabili di diatomite

L’importanza di questo territorio sta nella possibilità di rintracciare e osservare da vicino le rocce sedimentarie, sebbene in alcuni casi la vegetazione invasiva ne limiti sensibilmente la fruizione. Lungo la scarpata di via Recinto, nell’affioramento di Marmorito, vedo le “Areniti di Passerano” mentre, attraversata la strada, lungo il versante collinare di strada Casassa che conduce a Cocconato, appare il geosito di diatomiti risalenti tra i 20 e i 18 milioni di anni fa circa: affascinante per la storia che porta in sé e per il perfetto stato di considerazione. Per questo viene considerato una testimonianza geologica eccezionale.

La prima cosa che osservo è la luminosità del materiale: bianco, talvolta con striature giallognole. Anche quando si tratta di piccoli blocchi, staccatisi dalla collina e rintracciabili lungo il ciglio della strada sterrata, il peso è leggero. Se poi ci passo sopra la mano, questa si ricopre di un velo che sembra talco.

Le diatomiti si chiamano anche farine fossili e sono composte da microscopiche alghe unicellulari dette diatomee. Questa roccia sedimentaria, che si presenta lieve e fortemente porosa, è frutto dell’accumulo di gusci di diatomee, milioni di gusci di alghe infinitesimali che vivevano nelle acque profonde, ricche di ossigeno, del mare.

Estratta dall’uomo, la farina fossile serviva e, serve ancora, per molti usi: per produrre dinamite, nella cosmetica, come sostanza filtrante in enologia o come abrasivo. Oggi vicino all’affioramento di strada Casassa non esistono più tracce della cava che funzionava per l’attività estrattiva.

Anche in questo caso quello che vedo è ciò che resta della vita del Mare Padano quando i grandi cetacei fossili che trovano casa al Museo di Asti dovevano ancora comparire.

Repertorio di granchi, denti di squalo e ricci
Armando Bernardi e il dente di squalo
Conchiglie del Pliocene

Le tracce del Pliocene le trovo invece da un’altra parte, a Primeglio, lungo la via degli Orti. Nel blocco di arenaria, che costituisce il muro dell’ex canonica della chiesa, c’è un granchio fossile con le articolazioni che portano alle chele. Non è facilmente distinguibile e questo, nel tempo, è stata la sua salvezza, avendo potuto sottrarsi ai cercatori di fossili.

Poco lontano da qui sono state trovate, nella terra, molte conchiglie conservate nelle vetrine o nei cassetti di casa. Ma c’è anche chi si è imbattuto in qualcosa di più importante: un dente di squalo. Appare piccolo nella mano di Armando Bernardi: “Dieci anni fa, aveva piovuto da poco, passeggiavo sotto la chiesa della Madonnina ed è spuntato questo – mi fa vedere – Un reperto importante. Sono odontotecnico, qualcosa di denti ne capisco!”.

Nella collezione di fossili che Armando ha composto con la figlia Elisa, mentre lei studiava il territorio per diventare geologa, c’è un reperto eccezionale dell’antico mare: un riccio col guscio. Non è del tipo che siamo abituati a vedere al mare: “Esiste ancora oggi, ma ha una forma a pagnotta ricoperta di peluria – svela Damarco – Vive a una certa profondità, è difficile da scorgere. Quello fossile che vediamo qui è un ritrovamento eccezionale perché conserva il guscio, che nella stragrande maggioranza dei casi è andato perduto”.

In questi luoghi dove cresce l’ulivo, i boschi racchiudono tracce importanti di biodiversità e la storia geologica del territorio si lascia leggere a chiare lettere, mi raccontano di coralli fossili rintracciabili in una cava di gesso e di conchiglie così belle e particolari, lungo l’asse del rio Muscandia, da lasciare senza parole: grazie all’ottimo stato di conservazione mantengono tracce della colorazione originaria.

Uno spaccato di Mare Padano in paese
Sabbie dell'antico mare a Primeglio
Particolare della fotografia precedente che evidenzia il processo di bioturbazione all'interno del sedimento roccioso

Mentre lasciamo il paese passiamo nella piazza (il Fossà) di Primeglio dove il grande muro di contenimento conserva nella sua parte ottocentesca due archi di mattoni che lasciano scoperti affioramenti costituiti da sabbie plioceniche in cui è visibile il processo di bioturbazione, l’azione di organismi che nei sedimenti hanno scavato gallerie per viverci. Come tre milioni di anni fa lo hanno fatto crostacei, vermi e molluschi, oggi sono le vespe a costruirsi le tane.

Grazie a chi, nel rifare il muraglione, ha pensato di lasciare scoperto questo spaccato di Mare Padano. Grazie a chi, in futuro, si adopererà affinché i geositi vengano valorizzati, segnalandoli con poche ma importanti indicazioni per consentire a tutti di guardare cose straordinarie che hanno bisogno di essere riconosciute da occhi non esperti. Basta un’ora di tempo, qui, per spostarsi da un affioramento all’altro e osservare fenomeni geologici rari concentrati in pochissimo spazio.

Sentirsi parte della grande storia della terra, anche solo minimamente e marginalmente, è una sensazione impagabile.

Testo: Laura Nosenzo con la consulenza di Piero Damarco, paleontologo e conservatore del Museo Paleontologico di Asti.

 

Foto: Laura Nosenzo.

 

(7ª puntata, 30 ottobre 2021)

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Grazie a Elisa Bernardi e a Emanuele Giubasso per le visite agli affioramenti, a Armando Bernardi per averci aperto la porta di casa con l’ulivo in cortile, a Franco Correggia, minuzioso tesoriere di saperi di ogni tempo.

Il Museo dei Fossili

dopo Halloween

Venerdì 1 novembre: CHIUSO  per riposo (meritato)

dal 2 novembre si torna alla normalità:

ingresso a 7 euro e soliti orari

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