FOSSILI E TERRITORI
I nuovi pezzi del Museo Paleontologico di Asti e i luoghi in cui sono stati trovati

Cetacei arcaici e territori impagabili
Cranio e osso uditivo del delfino arcaico
I sei denti descritti dal paleontologo Portis

Può una piccola scatola di cartone contenere ossa dal valore inestimabile? La risposta è sì.

Sì senza esitazione. Ho davanti a me uno dei reperti di cetaceo fossile più arcaico delle collezioni del Museo Paleontologico: ha tra i 18 e i 19 milioni di anni. Un’enormità!

Sono, in tutto, il cranio, sei denti e le ossa dell’apparato uditivo di un delfino, in eccellente stato di conservazione, ritrovato a Rosignano Monferrato (Alessandria): nella cavità endocranica, imparo da Piero Damarco, sono ancora perfettamente visibili le impronte delle nervature e dei vasi sanguigni. Racconta, il paleontologo, che di questo reperto (Tursiops miocaenus) si occupò di persona: “Bisognava ripulire la parte superiore della testa, ancora avvolta dal sedimento quando arrivò dal Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Un lavoro lungo, fatto rigorosamente a mano con l’acido cloridrico, goccia a goccia, per non rovinare l’osso”.

Oggi lo stato del delfino è impeccabile e pensare alla storia che si porta dietro, a tutti i milioni di anni che si è trascinato fin qui, ci conferma l’eccezionalità della sua scoperta, in attesa che dalla scatola del deposito museale i resti fossili possano traslocare, un giorno, nella teca di vetro a prendersi finalmente le attenzioni dei visitatori.

sss

QUANTO E' DURATO IL MIOCENE?

Da 23 milioni a 5,4 milioni di anni fa, compreso tra l'Oligocene, l'epoca geologica più antica, e il Pliocene (5,4-2,6 milioni di anni circa), a cui appartengono i cetacei fossili ritrovati nell'Astigiano.

I sei denti, estratti anch’essi dalla Formazione della Pietra di Cantoni (a Cellamonte l’Ecomuseo ne racconta la storia), furono ritrovati intorno alla metà dell’Ottocento dal parroco di Rosignano Monferrato, don Bonelli, e da lui regalati al paleontologo Bartolomeo Gastaldi.

Dalle mani del professore gli avanzi del Miocene passarono successivamente a quelle degli esperti del Museo Geologico di Torino. La parziale dentatura fu studiata dal paleontologo Alessandro Portis che la descrisse nel Catalogo sui cetacei fossili rinvenuti nell’Astigiano (1885): “Il tutto consiste in sei denti ancor relativamente giovani, per quanto giudicar si possa dalla natura della radice, e piuttosto maltrattati e rotti“. Povero delfino, verrebbe da dire nel guardare gli spezzoni di osso tirati fuori dai contenitori, ma fortunati noi che possiamo osservarli da vicino, colmando in pochi secondi la distanza da quei 18 milioni di anni, quando il cetaceo ebbe nelle acque terse del Mare Padano la sua casa.

Dimmi che ossa uditive hai e ti dirò chi sei
La possente testa del delfino
Parte dei resti della balena

I resti dei due delfini alessandrini rappresentano la testimonianza di un’epoca antichissima che possiamo raccontare potendo contare su reperti rari e originali, arrivati ad Asti dal Museo regionale di Scienze Naturali di Torino, nel 2019, insieme ad altri pezzi andati ad arricchire le collezioni del Michelerio: scheletri interi, parziali o ossa isolate ceduti grazie alla disponibilità dell’Università.

Curiosamente il blocco comprende anche i resti di un delfinide arcaico scoperto in Trentino: un altro armadio del deposito museale si apre e appare lo Squalodon bellunensis dal lungo muso, forse migrante perché oggetto di scambio tra collezionisti, vissuto intorno ai 15 milioni di anni fa.

Ma il cranio, in cui si vede l’arcata orbitale, sembra un tronco fossile tanto è massiccio!, osservo con Damarco, confrontando il reperto con le forme più aggraziate di altri rostri conservati al museo. Certo che l’animale doveva avere un corpo ben robusto per reggere la testa! E intanto ci perdiamo a osservare i denti perché raccontano qualcosa di curioso: all’epoca erano ognuno diverso dall’altro (molari, incisivi…) e i molari erano anche seghettati per essere funzionali al modo di cacciare le prede.

E poi, in questo catalogo dei cetacei arcaici giunti fino a noi, compaiono i resti della balena (Atlanticetus lavei) di Moleto, un altro gioiello della preistoria anch’esso vissuto tra i 18 e i 19 milioni di anni fa in territorio alessandrino. La sua eccezionalità sta nel fatto che si tratta del più antico cetaceo con fanoni del Mediterraneo: davvero un’assoluta rarità. Ce lo dicono gli esperti dopo aver studiato le ossa uditive, uniche per ogni specie, e quindi determinanti per classificare il variegato mondo delle balene.

A Villadeati davanti alle ceneri del vulcano di Mortara
Il vasto affioramento di cineriti
La grotta nell'area della fontana

Usciamo un po’ dal museo, facciamo un giro, andiamo a scoprire qualcosa che non abbiamo ancora visto di questo territorio così ricco dal punto di vista geo-paleontologico.

Eccoci a Villadeati, nel Monferrato Casalese, a due passi dalle nostre parti.

Siamo in regione Campasso, sulla strada per Odalengo Piccolo, davanti a un affioramento con un fronte lungo un centinaio di metri di roccia bianca, leggera, porosa e friabile: nientemeno che la formazione di spessi strati di ceneri vulcaniche, dette cineriti, derivanti dall’eruzione di Mortara. In un periodo tra i 25 e i 15 milioni di anni il vulcano eruttò e le ceneri, trasportate dal vento, ricaddero anche qui (oggi siamo a una sessantina di chilometri dalla cittadina lombarda). Tutto questo successe nello stesso tempo in cui nuotavano nel Mare Padano i delfini di Rosignano e la balena di Moleto.

Di per sé la conservazione delle cineriti è un fenomeno raro e la loro presenza a Villadeati, in grande estensione e strati di spessore davvero significativo, acquista un valore storico e ambientale che merita di essere valorizzato.

Ancora prima dell’eruzione di Mortara, intorno ai 28 milioni di anni, il fondale marino fu scosso da potenti fuoriuscite di metano: è conservato in Municipio un pezzo di calcare che rappresenta la conseguenza di quel fenomeno. Allora il Pliocene, l’età dei capodogli, delfini, dugonghi e balene astigiani, doveva ancora arrivare.

Circondato dalla robinia, l’affioramento di cineriti, ricche di vetro, è ciò che resta di una cava da cui venivano estratti materiali per la produzione di prodotti abrasivi. Villadeati ha una lunga tradizione nell’attività di estrazione, iniziata già nel Cinquecento e terminata nel secolo scorso. La storia della terra racconta qui che dai giacimenti naturali si otteneva anche l’arenaria grigia utilizzata a scopi architettonici: lunette, colonne, lesene per ornare chiese, come il Duomo di Alba o la Basilica di Santo Spirito a Firenze, e palazzi nobiliari. Altre cave hanno per lungo tempo fornito pietrisco per costruire strade.

Se volete un’altra storia originale dobbiamo spostarci nel bosco che conserva la Fontana delle sette gocce, parte integrante di un percorso a piedi ad anello, lungo sei chilometri, che porta alla scoperta di cinque punti d’acqua utilizzati un tempo per scopi agricoli. La parete di roccia, che comprende anche una piccola grotta nata da fenomeni di erosione carsica, è il risultato dell’accumulo di detriti (come sabbie e ghiaie) scaricati dai ruscelli, durante le alluvioni, nel Mare Padano. Ecco un altro segno tangibile del tempo antico che possiamo continuare a raccontare.

Nel bosco crescono castagni, ornielli (un tempo immergendo pezzi di corteccia nell’acqua della fontana si otteneva l’acqua blu usata come disinfettante per gli animali da cortile), carpini, querce e felci perenni, con strepitose presenze di capelvenere.

Cortazzone e una scoperta da ricostruire
Conchiglia in Collina del Negro
Vertebra con cartellino originale

Dentro le colline di Cortazzone il Mare Padano ha consegnato ricordi a forma di conchiglie che non si nascondono ai nostri occhi: ancora oggi è possibile vedere le differenti forme dei gusci di molluschi negli affioramenti delle località Vanara e Briccarello.

Il paese ha siti paleontologici di tutto rispetto. Terre gialle dalle quali a Mongiglietto, dove la chiesa romanica di San Secondo racconta nel silenzio della campagna un altro pezzo importante di storia, nei secoli scorsi sono emersi in regione Valrasone avanzi di balena, erroneamente attribuiti dagli esperti di allora a Cortandone: due vertebre caudali, su un lato di colore scuro per la prolungata esposizione all’aria, e un frammento di costa facenti parte del blocco di reperti ceduti, nel 2019, da Torino ad Asti. La strada in cresta che da Mongiglietto conduce a Montafia promette una passeggiata con osservazioni di conchiglie lungo il versante collinare.

D’altra parte se esco dal Municipio trovo davanti a me, nell’area che contorna il castello, un altro affioramento e un secondo a pochi passi, davanti all’entrata dell’ufficio postale.

Una signora racconta che anni fa portava il nipotino a cercare fossili alla Collina del Negro e allora prendiamo la strada e andiamo a vedere. A tratti la terra è smossa e qualche conchiglia è fuoriuscita dal suo riparo, in altre parti gli strati madreperlacei inferiori dell’Isognomon maxillatus convivono con quelli superiori dei Brachiopodi (phylum Brachiopoda). La loro presenza richiama l’interesse di Damarco che ne nota una ricca proliferazione: “In questo punto nel Mare Padano si è creata una condizione ambientale vantaggiosa per lo sviluppo dei Brachiopodi, assicurando loro acque particolarmente ossigenate, con una salinità favorevole, oltre che ricche di plancton per cibarsi”.

Quando pensavo di aver già visto tanto, il sindaco Francesco Chiara mi indirizza verso i due affioramenti fossiliferi posti sotto protezione e promette osservazioni privilegiate: un lungo tratto di strada San Carlo, in località Briccarello, offre per più di mezzo chilometro una insistenza pressoché ininterrotta di conchiglie e la grandiosità del sito di Vanara fa pensare che proprio lì sia stata ritrovata, nell’Ottocento, una balena di cui poco si sa.

Per ora al museo c’è una vertebra con il cartellino di classificazione che specifica: “Dono sig. A. Deorsola gennaio 1904”. Sarà quello il pezzo da cui partire per cercare di ricostruire il ritrovamento del mammifero marino?

Il sindaco è tenace e ha già iniziato le ricerche, io sono curiosa e il paleontologo vuole approfondire. Seguiremo le tracce dell’antico mare, i racconti passati di bocca in bocca, i documenti dell’epoca. E forse, con un po’ di fortuna, scoveremo una nuova storia.

Ad Asti spunta un altro antenato della balene grigia
La balena grigia al Museo dei fossili
Collina di sabbie gialle a Cortandone

A proposito di storie da stanare: ce n’è una così fenomenale che sembra impossibile.

Ricordate l’antenata della balena grigia ritrovata a Cortandone?

Una scoperta scientifica senza precedenti firmata dal cetologo Michelangelo Bisconti, negli Anni Duemila, che portò a riconsiderare l’identità dell’animale del Pliocene, fino ad allora classificato come balenottera e da quel momento salito al rango ben più elevato di balena grigia (Eschrichtioides gastaldii).

Abbiamo raccontato, in precedenza, che il mammifero marino rappresentava uno dei due esemplari noti in Italia della specie preistorica, ormai estinta da secoli, che aveva abitato il Mediterraneo tra i 5,4 e i 2,6 milioni di anni fa. Pensavamo che il secondo reperto fosse custodito chissà dove… e invece abbiamo scoperto che è nel Museo dei fossili di Asti! Sotto la stretta sorveglianza di Bisconti che lo sta studiando con gli esperti dell’Università di Torino e del museo.

Come il fossile sia giunto qui non è chiaro e da dove provenga probabilmente lo svelerà l’indagine in corso.

Spiega Bisconti, che in questi anni ha analizzato e riconosciuto altri grandi cetacei conservati in museo, che tutto quel che c’è a disposizione dell’antico esemplare sono due parti di cranio e una di mandibola: non troppo, ma quel che basta per comparare i resti con quelli di altri esemplari.

Gli chiedo di raccontarmi, ma lui sta abbottonato. Poi qualcosa gli scappa: “Potrebbe trattarsi di un’altra specie di balena grigia rispetto a quella di Cortandone”.

Dunque buone notizie!

Di più il detective dei misticeti non dice. Ha in mano indizi importanti che restano segreti.

Bisogna accontentarsi, tutto il resto verrà.

Testo: Laura Nosenzo con la consulenza di Michelangelo Bisconti, cetologo e ricercatore universitario, Piero Damarco, paleontologo e conservatore del Museo Paleontologico di Asti, Federico Imbriano, naturalista per il Distretto Paleontologico dell’Astigiano e del Monferrato e per il Parco Paleontologico Astigiano.

 

Foto: Laura Nosenzo.

 

(12ª e ultima puntata, 28 marzo 2022)

xx

Grazie a Graziano Delmastro, direttore del Parco Paleontologico Astigiano e del Museo dei fossili, che ha seguito passo a passo Fossili e Territori, a Mario Maioglio, consigliere comunale di Villadeati, vera fonte di saperi e di entusiasmi, a Francesco Chiara, sindaco di Cortazzone, che guarda alla paleontologia come a un’opportunità per il territorio.

x