Il posto è Bologna, dove al Museo Capellini (Università di Bologna), il più antico museo geo-paleontologico italiano, sono conservati non uno, ma ben tre esemplari di mastodonte ritrovati nell’Astigiano: due a Ca’ dei Boschi di Valle Andona, il terzo a Cinaglio. Se li comprò il professor Giovanni Capellini, geologo, che nel 1880 li acquistò da un collezionista piemontese, Filippo Cantamessa, per 12 mila lire.
Al museo l’esemplare completo (Anancus arvernensis) di Ca’ dei Boschi convive con due balenottere, un sirenide, un cranio di mammut e altri fossili nella sala “Elefanti e Balene”, dominando sul resto delle collezioni: è lungo 7 metri, alto 3. Uno spettacolo. Imponente per la stazza, ma anche per la sua lunga storia arrivata fino a noi e da noi, a Bologna, compresa con chiarezza.
“E’ uno dei pezzi più importanti e valorizzati – dice Michela Contessi, da qualche settimana conservatrice del museo – I bambini, per la verità, prima cercano e trovano i dinosauri, ma quando arrivano nella sala ‘Elefanti e Balene’ restano ugualmente affascinati: il mastodonte fa la sua scena“.
Un altro esemplare, che Capellini pagò ancora più caro, è quello di Cinaglio, di cui sono esposti le quattro zampe e il cranio con le zanne innestate. Infine ciò che è stato recuperato del terzo mastodonte, anch’esso di Ca’ dei Boschi, è conservato nei cassetti.
Non sfugge l’importanza del luogo: questo è l’unico museo in Italia a esporre al pubblico importanti testimonianze del nostro territorio. Ma sarebbe uno sbaglio pensare che i reperti, a Bologna, si limitino a soddisfare le curiosità o l’interesse del pubblico attratto dalla paleontologia: nella sala “Elefanti e Balene” si sono fermati, e si fermano, anche e soprattutto gli specialisti. “Vengono da tutto il mondo a vedere il mastodonte, super studiato e descritto in molte ricerche scientifiche” conferma Carlo Sarti, che ha da poco lasciato l’incarico di conservatore del “Capellini”.
Non troppi, ovunque, i paleontologi, chiarisce Sarti (“In Italia saranno un centinaio e nel mondo poche migliaia”), ma decisivi per continuare a studiare e aggiornare la storia di esemplari stupefacenti, come i mastodonti che da circa un milione e mezzo di anni non ci sono più.
Piero Damarco, paleontologo e conservatore del museo astigiano, mi racconta una storia con un gran bel finale. Riguarda il mastodonte della sala degli elefanti e delle balene: “E’ il 2019, sono a Bologna al Mineral Show, qualcuno mi segnala che al ‘Capellini’ dovrebbe esserci un cetaceo scoperto nell’Astigiano. Faccio un salto al museo e, per caso, mi trovo davanti al mastodonte di Ca’ dei Boschi. Una rivelazione, perché gli studi scientifici fino a quel momento non hanno praticamente mai divulgato questo ritrovamento. Approfondisco e i mastodonti astigiani diventano tre”.
Le scoperte del Villafranchiano hanno risvolti di casualità sorprendenti. Non solo per come sono avvenuti i rinvenimenti (scavando la terra durante i lavori agricoli, per costruire una ferrovia o un’autostrada), ma anche per come, dopo, ci si è nuovamente imbattuti nei reperti. Come quando, nel 2008, il sindaco di San Paolo Solbrito, Carlo Alberto Goria, andando a recuperare nel sottotetto del municipio le luminarie natalizie scoprì accidentalmente due molari di mastodonte. O come quando Piero Damarco, cercando al “Capellini” un delfino, finì per imbattersi in un essere alquanto diverso, ma ugualmente eccezionale.