FOSSILI E TERRITORI
I nuovi pezzi del Museo Paleontologico di Asti e i luoghi in cui sono stati trovati

I grandi vertebrati del Villafranchiano
Il Villafranchiano dipinto da Piero Damarco
Stratigrafia del terreno nell'ex cava RDB

Un rinoceronte a Roatto e uno a Dusino San Michele, mastodonti a Villafranca, San Paolo Solbrito e alle porte di Asti, una macaca, resti di mammut e bisonte: rapida (e non completa) galleria di ciò che il Villafranchiano ha lasciato nell’Astigiano, ma che l’Astigiano ha perduto.

Nessun grande vertebrato ritrovato qui, tra l’Ottocento e il Novecento, è esposto sul nostro territorio, gli scheletri, per gran parte completi e ben conservati, dopo la scoperta sono stati messi in protezione e trasferiti altrove: da tempo i mastodonti (Anancus arvernensis) di Villafranca e San Paolo Solbrito e i rinoceronti (Stephanorhinus jeanvireti) di Dusino e Roatto sono al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino che resta chiuso al pubblico.

Ciò che rimane nell’Astigiano di un periodo geologico importante (da 3,4 milioni a circa 1,2 milioni di anni fa), denominato dagli esperti Villafranchiano per le significative scoperte paleontologiche avvenute nella zona di Villafranca, sono una parte della mandibola con due molari di mastodonte, conservati nella Sala del Consiglio Comunale di San Paolo Solbrito, e alcuni resti racchiusi in una delle vetrine del Museo Paleontologico di Asti che raccontano il Pliocene: una costa di rinoceronte, il palato con mascella e molari anteriori di un mastodonte, tibia e fibula di un altro esemplare, foglie fossilizzate che documentano quali alberi vivevano nel Villafranchiano e che sono giunti fino a noi: ontano, salice, liquidambar.

Nessuno dei 145 reperti fossili arrivati da Torino ad Asti, nel 2019, appartiene al Villafranchiano, quando mastodonti e rinoceronti vivevano nelle terre emerse dal Mare Padano insieme a ghepardi, tigri, elefanti, orsi, bisonti, mammut.

IL VILLAFRANCHIANO VUOL DIRE QUALI LUOGHI?

L'ultima revisione (1996) dell'area tipo del Villafranchiano, riconosciuto a livello mondiale dagli studiosi di geologia e paleontologia, individua i seguenti territori: Villanova, Montafia, San Paolo Solbrito, Dusino San Michele, Villafranca, Ferrere, Maretto, Roatto, Cortandone, San Damiano (frazione San Pietro), Cantarana. Non risulta il toponimo Ca' dei Boschi di Valle Andona (Asti).

Potere immaginifico dei fossili di terra e di mare
Costa di rinoceronte al Museo dei Fossili di Asti
Molari del mastodonte di S. Paolo Solbrito

Ma allora, chiedo a Daniele Ormezzano, ex conservatore del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, i grandi esemplari del Villafranchiano siamo condannati sempre e solo a immaginarli? Siamo pieni di balene e delfini al Museo dei fossili di Asti, e invece non abbiamo nulla, di davvero significativo, sui mastodonti! Forse che il Villafranchiano ha meno appeal del Mare Padano?

Sorride Ormezzano: “Il fascino è lo stesso, ma diverse sono state le condizioni dei ritrovamenti: numericamente inferiori quelli del Villafranchiano. Estratto il mastodonte o il rinoceronte, non sono rimasti segni sul territorio a testimoniare quel periodo”.

Ca’ dei Boschi, la località di Valle Andona (Asti) dove nell’Ottocento sono stati ritrovati i mastodonti – mi spiega Giulio Pavia, paleontologo – oggi non si sa neanche dove sia… Se invece vai a fare una passeggiata nella stessa frazione, inciampi nelle conchiglie: tante ce ne sono”. Infatti lì, nell’avvolgente riparo del bosco, c’è lo stupefacente affioramento fossilifero di Valle Botto.

“E poi le balene e i delfini – racconta Ormezzano – una volta scoperti hanno sempre mobilitato le fantasie dei contadini. All’inizio non si sapeva bene cosa fossero e quindi entravano nell’immaginario della gente per le loro forme fantastiche: forse erano dei giganti… comunque sprigionavano una visione diabolica… I grandi vertebrati del Villafranchiano sono anche stati descritti con un certo ritardo”.

Ecco spiegato, qui da noi, il diverso potere evocativo del Mare Padano e del Villafranchiano.

Ma allora per farmi affascinare devo andare da un’altra parte!

A Bologna la sorpresa dei mastodonti made in Asti
Mastodonte di Cinaglio al museo Capellini
Mastodonte di Ca' dei Boschi esposto a Bologna

Il posto è Bologna, dove al Museo Capellini (Università di Bologna), il più antico museo geo-paleontologico italiano, sono conservati non uno, ma ben tre esemplari di mastodonte ritrovati nell’Astigiano: due a Ca’ dei Boschi di Valle Andona, il terzo a Cinaglio. Se li comprò il professor Giovanni Capellini, geologo, che nel 1880 li acquistò da un collezionista piemontese, Filippo Cantamessa, per 12 mila lire.

Al museo l’esemplare completo (Anancus arvernensis) di Ca’ dei Boschi convive con due balenottere, un sirenide, un cranio di mammut e altri fossili nella sala “Elefanti e Balene”, dominando sul resto delle collezioni: è lungo 7 metri, alto 3. Uno spettacolo. Imponente per la stazza, ma anche per la sua lunga storia arrivata fino a noi e da noi, a Bologna, compresa con chiarezza.

“E’ uno dei pezzi più importanti e valorizzati – dice Michela Contessi, da qualche settimana conservatrice del museo – I bambini, per la verità, prima cercano e trovano i dinosauri, ma quando arrivano nella sala ‘Elefanti e Balene’ restano ugualmente affascinati: il mastodonte fa la sua scena“.

Un altro esemplare, che Capellini pagò ancora più caro, è quello di Cinaglio, di cui sono esposti le quattro zampe e il cranio con le zanne innestate. Infine ciò che è stato recuperato del terzo mastodonte, anch’esso di Ca’ dei Boschi, è conservato nei cassetti.

Non sfugge l’importanza del luogo: questo è l’unico museo in Italia a esporre al pubblico importanti testimonianze del nostro territorio. Ma sarebbe uno sbaglio pensare che i reperti, a Bologna, si limitino a soddisfare le curiosità o l’interesse del pubblico attratto dalla paleontologia: nella sala “Elefanti e Balene” si sono fermati, e si fermano, anche e soprattutto gli specialisti. “Vengono da tutto il mondo a vedere il mastodonte, super studiato e descritto in molte ricerche scientifiche” conferma Carlo Sarti, che ha da poco lasciato l’incarico di conservatore del “Capellini”.

Non troppi, ovunque, i paleontologi, chiarisce Sarti (“In Italia saranno un centinaio e nel mondo poche migliaia”), ma decisivi per continuare a studiare e aggiornare la storia di esemplari stupefacenti, come i mastodonti che da circa un milione e mezzo di anni non ci sono più.

Piero Damarco, paleontologo e conservatore del museo astigiano, mi racconta una storia con un gran bel finale. Riguarda il mastodonte della sala degli elefanti e delle balene: “E’ il 2019, sono a Bologna al Mineral Show, qualcuno mi segnala che al ‘Capellini’ dovrebbe esserci un cetaceo scoperto nell’Astigiano. Faccio un salto al museo e, per caso, mi trovo davanti al mastodonte di Ca’ dei Boschi. Una rivelazione, perché gli studi scientifici fino a quel momento non hanno praticamente mai divulgato questo ritrovamento. Approfondisco e i mastodonti astigiani diventano tre”.

Le scoperte del Villafranchiano hanno risvolti di casualità sorprendenti. Non solo per come sono avvenuti i rinvenimenti (scavando la terra durante i lavori agricoli, per costruire una ferrovia o un’autostrada), ma anche per come, dopo, ci si è nuovamente imbattuti nei reperti. Come quando, nel 2008, il sindaco di San Paolo Solbrito, Carlo Alberto Goria, andando a recuperare nel sottotetto del municipio le luminarie natalizie scoprì accidentalmente due molari di mastodonte. O come quando Piero Damarco, cercando al “Capellini” un delfino, finì per imbattersi in un essere alquanto diverso, ma ugualmente eccezionale.

Che cosa insegna la storia di Rino
Il rinoceronte di Dusino San Michele e la bambina
Il luogo in cui è stato ritrovato lo scheletro

Torno da Ormezzano: ma se noi i mastodonti non li abbiamo, come facciamo ad averne memoria?

Raccontare, raccontare, risponde: “Partendo dai bambini affinché ricordino che il loro territorio ha determinate caratteristiche. L’ho fatto tante volte, in passato, a Villafranca e Dusino”. Le parole d’ordine sono: informare, educare.

Qualcosa è davvero rimasto. La scuola primaria di Dusino San Michele si chiama “Gli amici di Rino“, nome che i bambini le hanno dato dopo che il Comune ha fatto conoscere loro la storia del rinoceronte, scoperto nel 1880 durante i lavori della ferrovia Torino-Genova.

Con il sindaco Valter Malino vado nei pressi del viadotto, ai confini con Villafranca, dove è stato trovato: allora c’era una cava, oggi un campo coltivato. Poco distante passa il sentiero che ripercorre i luoghi di Rino, mentre davanti alla primaria, a due passi dal Municipio, è stata da poco collocata la sagoma dell’animale preistorico, un piccolo monumento che riproduce il simpatico logo disegnato dai bambini. Una bacheca riporta una curiosa immagine dell’epoca: quello scheletro che all’inizio si stentò a capire a quale animale appartenesse, fu ricostruito, montato e fotografato in paese. Per dare l’idea di quanto enorme fosse, venne fatta coricare vicino alle zampe una bambina. L’effetto riuscì e ancora adesso colpisce.  Qui la preistoria è una storia effervescente che contamina.

Intanto quattordici Comuni della Val Triversa, dove nel tempo sono stati estratti anche delfini e balenottere, si sono ispirati al mastodonte per dare nome al Distretto del commercio diffuso che sta nascendo: c’è anche Roatto, dove nel 1989, presso Cascina Melona, furono trovati frammenti fossili che due anni dopo, avviata la campagna di scavo, si rivelarono di rinoceronte. Una scoperta considerata di notevole importanza “per la quantità complessiva di resti recuperati, l’eccellente stato di fossilizzazione e il contesto di ritrovamento” hanno scritto gli esperti. E c’è, oltre a Dusino, anche San Paolo Solbrito, dove nel 1849, sempre durante i lavori della strada ferrata Torino-Genova, fu scoperto lo scheletro di un mastodonte pressoché intero.

Tra gli obiettivi del Distretto diffuso (capofila Villafranca) è indicata la valorizzazione del Villafranchiano, idea ambiziosa che andrebbe a colmare un precedente insuccesso. All’inizio degli anni Duemila l’idea di un museo e di un percorso, nell’ex cava Rdb di Villafranca, per osservare la stratificazione del terreno non si realizzò per mancanza di fondi.

Ma la memoria del mastodonte resta. E anche qualcosa in più, nelle case di qualche villafranchese. Rileggo ciò che ha scritto nel 2002 lo storico Renato Bordone, ripercorrendo la scoperta di un cranio fossile di mastodonte a cui assistette, negli anni Cinquanta, in frazione San Grato: “Si avverte come di dovere l’autorità, ma, prima che il reperto venga rimosso dal sito del ritrovamento, la lunga zanna è sezionata in piccoli frammenti distribuiti religiosamente fra i contadini della zona. E con buona pace del Museo di Scienze Naturali di Torino, dove pare che non sia mai giunto! Certo è che anche il sottoscritto ha ereditato il suo prezioso frammento di mastodonte che ancora conserva gelosamente…”.

Testo: Laura Nosenzo con la consulenza di Piero Damarco, paleontologo e conservatore del Museo Paleontologico di Asti.

Foto: Laura Nosenzo.

Le due immagini dei mastodonti esposti a Bologna sono tratte dal libro “Valleandona. Mare e fossili” (autori vari, 2021, Associazione Paleontologica Astensis) e pubblicate per gentile concessione del Museo “Giovanni Capellini” di Bologna.

La fotografia della stratificazione del terreno nell’ex cava Rdb è stata fornita dal Comune di Villafranca.

 

(6ª puntata, 27 settembre 2021)

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Grazie ai sindaci Bruno Colombo (Roatto), Anna Macchia (Villafranca), Valter Malino (Dusino San Michele), a Massimo Padovani e Mauro Pittarelli per aver facilitato le ricerche.